Eremo di San Famiano

Tra i tanti “tesori” disseminati lungo le forre dell’Agro-falisco, uno dei più nascosti, inaccessibile e sperduto, è sicuramente l’Eremo di San Famiano a Faleria ( VT). Raggiungere questo sito non è per nulla semplice, ed è possibile farlo o attraverso la discesa in corda dal soprastante bosco di Castel Fogliano, o, come io stesso ho optato, discendendo per un ripido sentiero dal pianoro di Castel Paterno. Anche se la seconda opzione può sembrare quella più semplice e sicura, in realtà non lo è affatto e presenta molti ostacoli, primo tra tutti il guado del fosso della mola di Faleria. L’unico modo per effettuare questo passaggio, è, infatti, quello di balzare letteralmente da un sasso all’altro sul letto del torrente, prestando molta attenzione a non scivolare in acqua. Una volta superato questo primo ostacolo, ci si ritrova dinnanzi ad una salita molto ripida,interamente ricoperta da una folta vegetazione ed apparentemente impenetrabile. Il terreno argilloso e il ricco sottobosco rendono il cammino veramente arduo . Facendosi lentamente strada tra ortiche, pungitopi ed interminabili grovigli di rovi, si continua a salire per circa 150 metri lungo un pendio a dir poco scosceso e scivoloso. All’improvviso ci si ritrova di fronte ad una parete tufacea alta all’incirca 20 metri, e lungo di essa, intagliate , si scorgono alcune aperture sulla sua superficie. Sotto queste cavità, sempre scavato nel tufo, vi è l’ingresso all’Eremo. Lungo la parete esterna sono visibili due piccoli canali trasversali, intagliati anche questi, attraverso cui veniva fatta confluire l’acqua piovana in una sorta di piccolo bacino di raccolta, anche questo ricavato dalla roccia . Accanto a questa sorta di fontana, al cui interno zampilla, inoltre, una piccola fonte d’acqua, è presente anche una piccola nicchia in cui erano presenti alcuni affreschi, purtroppo oggi non visibili a causa del deterioramento dovuto dagli agenti atmosferici. Affianco all’ingresso della costruzione vi è una sorta di clessidra scavata sulla parete, la quale in passato doveva aver avuto la funzione di appiglio per legare i cavalli durante la sosta. Affianco si trovano altri due ambienti ipogei. Varcato l’ingresso dell’eremo, delle ripide quanto strette scale,ricavate dal “morbido” tufo, conducono al piano superiore. La stanza in cui ci si ritrova è anche questa interamente scavata, con tanto di posti per sedersi, un camino, ed una sorta di altare. Al di sopra di questo vi è una piccola nicchia dove molto probabilmente venivano rivolte le preghiere dei fedeli. Lungo le sue pareti sono presenti anche due aperture (finestre) che si affacciano sulla forra sottostante. Questo luogo ancora oggi, come una volta, emana un senso di pace interiore e tranquillità, e sembra improvvisamente di trovarsi in chissà quale parte sperduta del mondo, all’infuori del caos quotidiano, dallo smog e da tutte quelle preoccupazioni che la vita ci riserva quotidianamente. Per quanto concerne l’aspetto storico di questo insediamento non abbiamo molte notizie ed anche la sua datazione risulta assai incerta. All’interno delle forre, infatti, nascoste tra la fitta vegetazione, sono presenti numerose grotte naturali e tombe a camera che molto spesso venivano poi adattate alle esigenze abitativo-religiose favorendo così l’insediamento di anacoreti, asceti, eremiti e monaci. Questi religiosi, spesso provenienti dall’Oriente, anche in seguito alle persecuzioni durante l’espansione dell’Islam, si insediarono in tali siti e li riutilizzarono, destinandoli anche a chiese rupestri aperte al culto delle popolazioni. Nel nostro territorio la notevole presenza di acqua e di boschi, assicurano ai religiosi l’autosufficienza e la sopravvivenza mentre l’isolamento è garantito dall’impraticabilità delle forre. Alcuni studiosi locali ritengono che il sito fosse già esistente ai tempi di Ottone III (Kussel, giugno 980 – Faleria, 23 gennaio 1002 ) e che lo stesso Imperatore, durante la sua permanenza al vicino Castel Paterno ( distante circa 2 km a piedi ) andasse proprio in questo Eremo per pregare ed espiare i propri peccati legati soprattutto al sangue da lui versato durante il suo regno. L’eremo di San Famiano deve il suo nome alla tradizione secondo cui, il Santo, passò gli ultimi giorni della sua vita in questo luogo, per poi arrivare a Gallese, dove vi morì nel 1150.

TESTO DI LUCA PANICHELLI